giovedì 29 marzo 2012

Cure primarie. La proposta degli “ospedalieri”. Prima di tutto stabiliamo “chi fa che cosa”

La riforma del settore è una priorità. Ne sono convinti anche i sindacati della dipendenza del Ssn che però avanzano una “loro” proposta che a questo punto si affianca a quelle già avanzate dai medici convenzionati. Punto cardine è chiarire una volta per tutte ruoli e funzioni di tutti gli attori.

27 MAR – Sul tavolo del ministero della Salute, impegnato da alcune settimane nel confronto serrato con i sindacati medici per l’esame di alcune problematiche (responsabilità professionale, precariato ed accesso al sistema, cure primarie, integrazione ospedale territorio), arriva ora una nuova proposta per le cure primarie.
Ma a stilarla non sono i medici del settore ma quelli che operano nella dipendenza. Il perché di questa sortita “fuori campo” la spiegano gli stessi estensori del documento (ANAAO ASSOMED – AAROI-EMAC –FVM – FASSID – CISL MEDICI – FESMED – ANPO-ASCOTI-FIALS MEDICI – UGL MEDICI). “Si impone a tutti – scrivono nella premessa del loro documento - una riflessione che partendo dall’esistente cominci a pensare a modelli organizzativi e assistenziali futuri, a nuovi modi di erogare sanità cercando di conservare elementi fondanti e generalisti quali l’universalismo, l’equità e l’appropriatezza delle cure coniugandoli con la sostenibilità del sistema stesso.
Partendo da questa premessa i sindacati propongono più che specifiche soluzioni un vero e proprio approccio di metodo alla riforma individuando i principi fondanti a cui dovrenne ispirarsi.
Il problema delle competenze
Al primo posto c’è quello di “una definizione preliminare delle competenze dei singoli professionisti appartenenti a ruoli professionali diversi ma che operano con lo stesso obiettivo di creare salute e garantire o favorire la tutela della salute del cittadino”.
“Qualsiasi modello organizzativo/assistenziale si intenda sviluppare – sottolineano – non può prescindere da una corretta definizione ed individuazione delle competenze, conoscenze, responsabilità dei singoli attori rendendo contemporaneamente rintracciabili e trasparenti le funzioni e compiti di ognuno, creando così il presupposto per superare l’attuale sistema, variegato nella varie regioni, del fai da te o delle sperimentazioni senza alcuna verifica. Occorre evitare approcci a canna d’organo per ricomporre intorno a chi ha compiti di diagnosi e terapia la responsabilità unitaria del governo clinico e gestionale”.
Il “governo” delle cure primarie
Il secondo aspetto è quello della governance della continuità assistenziale H24. “La continuità assistenziale – scrivono – deve coniugare la capillarità di diffusione degli studi di medicina generale con la attività di strutture multiprofessionali in grado di intercettare, anche attraverso adeguate capacità diagnostiche e terapeutiche,  la domanda di bassa complessità che si rivolge al Pronto Soccorso per ottenere risposte”.
Per farlo si propone che si crei una rete interconnessa che comprenda il 118 e la continuità assistenziale. “L’emergenza pre-ospedaliera e quella ospedaliera – sottolineano – devono integrarsi, almeno funzionalmente, in un’unica organizzazione dipartimentale che permetta di svolgere le attività sia sul territorio che in ospedale, con modalità organizzative adattate ad ogni realtà”.
La modifica legislativa
Il terzo punto è quello della modifica legislativa all’attuale assetto delle cure primarie regolamentate dall’art.8 del dlgs 502/229 che deve puntare innanzitutto a “definire gli aspetti, relazionali e contrattuali, che legano i vari professionisti nell’ambito dell’organizzazione del sistema sanitario adottata dalla Regione, nel rispetto del contratto individuale di lavoro sottoscritto con l’ASL di appartenenza e del rapporto tra quantità e qualità del lavoro svolto e valorizzazione economica”. “Particolare attenzione – viene rilevato – va posta alla definizione del ruolo giuridico del medico, quale garante della salute del cittadino e responsabile della continuità delle cure, alla omogeneizzazione delle tutele, alla individuazione di possibili modalità capaci di assicurare flessibilità tra i diversi settori del  sistema”.
Lo sviluppo del lavoro d’equipe
Il quarto aspetto trattato nella proposta riguarda “la condivisione di un modello multi professionale funzionale all’erogazione dell’assistenza, la realizzazione e/o il consolidamento delle equipe multi professionale territoriale inclusa l’integrazione, anche solo funzionale, con gli operatori del Servizio sociale e/o del dipartimento sociosanitario (qualora esistente)”.
Per questo “occorre sviluppare maggiormente i modelli di associazionismo individuando contemporaneamente le modalità che, pur confermando il sistema di fiducia e di scelta esistente tra MMG e paziente, permettano di garantire a questo ultimo l’assistenza possibile, almeno nelle ore diurne, senza indurre accessi inappropriati al PS o ad altri punti della rete di emergenza”.
Non può però mancare la definizione di un “modello di governo di queste strutture fisiche individuate e sparse nel territorio dove inevitabilmente agiscono non solo i MMG e PLS e Specialisti convenzionati ma anche professionisti appartenenti ai dipartimenti sanitari territoriali o al distretto e professionisti appartenenti ad altri dipartimenti ospedalieri e del sistema sociale comunale”. Il tutto in un contesto di “riorganizzazione della rete ospedaliera per favorire i processi di deospedalizzazione e promuovere un modello di ospedale radicato nel territorio e funzionalmente collegato con la rete assistenziale anche mediante la adozione di procedure e protocolli condivisi”.
La presa in carico del paziente
Il quinto aspetto si sofferma invece sui Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali Relazionali (PDTA-R) per consentire la “la presa in carico integrata fra MMG e specialisti e garantire la continuità assistenziale e la integrazione fra l’ospedale ed il territorio attraverso la definizione delle  modalità di partecipazione dei vari attori”.
La formazione
Ultimo aspetto quello della formazione post laurea che, scrivono i sindacati, deve “rispondere alle esigenze del modello organizzativo della assistenza sanitaria piuttosto che a quella delle cattedre universitarie e della necessità di assicurare i volumi produttivi che ne giustificano la esistenza. Occorre in sostanza restituire al servizio sanitario, nelle sue articolazioni intra ed extraospedaliere, il ruolo formativo professionalizzante che gli spetta in quanto garante della qualità professionale di chi è chiamato ad erogare le prestazioni sanitarie”.
http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=8159

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